Piano Febbraio 23 01

Faraya, “il villaggio del Monte”

Arroccato a 1.650 metri sul livello del mare si trova il famoso villaggio di Faraya, una destinazione venerata per le sue fantastiche piste da sci e paesaggi epici. Non sorprende che Faraya significhi “la terra della fruBa e della verdura” in fenicio. Questa terra fertile ha sempre dato generosamente.

Situata nel cuore del Monte Libano, Faraya è a un’ora di auto da Beirut. Si può godere delle montagne Chabrouh in estate facendo un’escursione. I percorsi sono adatti ad adulti e bambini, con o senza guida. Ci sono anche due cascate da ammirare. Chiamato anche Nabeh El Laban, questo luogo da visitare in Libano si trova tra Faraya e Kfardebian. Questa gemma nascosta celebra la natura nella forma più grezza. Conosciuto per uno straordinario sentiero escursionistico, i visitatori possono godersi l’escursione che attraversa il sentero incrociato superando il fiume Faraya e le cascate di Faraya.

In cima al Monte della Croce (Jabal El Salib) si trova la statua più grande di San Charbel. Da quando è stata trasportata a Faraya nel 2017, la struttura di 24 metri ha attirato visitatori da vicino e da lontano.
Con una lunghezza di 1.300 metri, la diga di Chabrouh, situata appena sopra Faraya, è una delle più grandi dighe del Libano. Non solo si possono scattare foto fantastiche, ma si può anche percorrere il sentiero attorno al perimetro della diga.

Faraya è spesso associata allo sci e ad altri sport invernali.
Se si è appassiona; di storia e si ama esplorare antichi si; archeologici e monumenti, allora bisogna visitare le rovine romane di Faqra e godere dei siti storici di Faraya. Classificato come uno dei posti migliori da visitare in Libano, il viaggiatore deve esplorare le rovine romane che sono belle oltre ogni misura. Odino è un’altra gemma di Faraya, in Libano è un punto panoramico nascosto. Il posto offre due opzioni per persone con preferenze diverse. Se si è una persona che ama la serenità, si puó prendere qualche drink e godersi il sole al tramonto immergendosi nei raggi arancioni. Se si sta cercando una festa illuminata, si può entrare e ballare tuBa la noBe al ritmo di fantastici DJ.

Piano Gennaio 23 01

Al Arz, “I cedri di Dio”

Al-Arz è la traduzione libanese della parola cedro. Al-Arz o L’Arz, è anche conosciuto come Cedrus Libani (Cedro del Libano), ed è un sempreverde della famiglia delle Pinaceae. Questa pianta di conifere è stata trovata per la prima volta in Libano, sulla catena del Monte Libano a Sannine, Barrouk. Si trovava anche sulle catene montuose orientali e occidentali del Libano. Secoli fa, la catena del Monte Libano era quasi completamente ricoperta di cedri. I cedri più famosi sono indicati come Arz el Rab o Cedri del Signore o Cedri del Libano.

Il cedro è uno dei materiali da costruzione più apprezzati nell’antichità. Citati circa 103 volte nella Bibbia, si sapeva che assiri, babilonesi e persiani avevano effettuato spedizioni sul Monte Libano alla ricerca della squisita qualità del legno del cedro, esportandolo attraverso le città costiere dell’allora Cana-Fenicia. Oltre alla sua fragranza unica e duratura, il Cedro era duttile, resistente e ampiamente utilizzato dai Fenici nella costruzione delle flotte mercantili. È scritto nelle Scritture che Salomone richiese grandi forniture di legno di cedro e radunò architetti e costruttori esperti dal re Hiram di Tiro (una città costiera della Fenicia) per vedere la costruzione del suo tempio noto come Tempio di Salomone.

Oggi, circa 400 cedri di centinaia di anni si trovano in una tasca glaciale riparata che si trova nell’area del Monte Makmel, una regione elevata situata ad altitudini comprese tra 1900 m e 2050 m sul lato est del villaggio settentrionale di Bcharré . È in questo particolare boschetto che si può veramente apprezzare la statura e la magnificenza di questi alberi. Quattro maestosi cedri hanno raggiunto un’altezza di 35 metri con i loro tronchi che misurano tra i 12 ei 14 metri di perimetro. La loro forza porta rami massicci che allargano i loro rami orizzontali come ventagli. Gli sforzi di conservazione hanno migliorato le condizioni ambientali necessarie affinché questi alberi monumentali sopravvivano ai danni causati da elementi naturali e umani. Negli ultimi decenni sono stati piantati circa mille giovani alberi per rinnovare questa risorsa naturale e culturale.


Il cedro del Libano è il pezzo centrale della bandiera del Libano. Come per i suoi attributi di legno, il cedro è diventato un simbolo della resilienza e dell’adattabilità del popolo libanese. Con Al Arz si intende una zona prevalentemente montuosa in cui vi risiedono la maggior parte dei Cedri del Libano ovvero il Monte Libano. Oggi, dopo secoli di deforestazione, l’estensione della foresta si è ridotta in modo considerevole. Gli alberi sopravvivono nelle zone montuose dove l’ambiente è ancora incontaminato. È il caso delle pendici del monte Makmel che si eleva dalla valle di Qadisha dove, oltre i 2000 metri, si trovano tuttora i Cedri di Dio. Nel 1998 i Cedri di Dio vennero inseriti nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

Piano Dicembre 22 01

Baalbek, “la città del sole”

Baalbek in Libano è uno dei siti archeologici più importanti del Vicino Oriente, dichiarato nel 1984 Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Si trova, in linea d’aria, a circa 65 km ad est di Beirut. Oggi Baalbek è una cittadina nella valle della Beqāʿ, capoluogo di un omonimo distretto libanese.

Situata ad est delle sorgenti del fiume Leonte, ad un’altitudine di 1170 metri sul livello del mare, Baalbek è famosa per le monumentali rovine di alcuni templi romani risalenti al II e III secolo dopo Cristo, quando Baalbek, con il nome di Heliopolis ospitava un importante santuario dedicato a Giove Eliopolitano nella provincia romana di Siria.Quello di Baalbek è uno dei siti archeologici più importanti presenti sul vasto spazio terrestre. Le monumentali rovine di Baalbek sono solitamente attribuite all’Impero Romano, poiché per un certo periodo esso vi stanziò e vi costruì alcuni importanti monumenti.

La storia di Baalbek però è molto più antica e abbraccia vicende che si susseguirono per più di 5.000 anni. Nel 334 a.C. Alessandro Magno conquistò Baalbek ed iniziò il processo di ellenizzazione dell’area. Dopo la morte di Alessandro Magno furono i Tolomei d’Egitto ad occupare Baalbek e ribattezzarla col nome di Heliopolis, “la Città del Sole”.

Nel 47 a.C. Giulio Cesare si stabilì nella città e ordinò la costruzione di tre grandiosi templi che furono eretti in onore delle principali divinità del “Pantheon” romano, ovvero Giove (Dio del cielo e del tuono), Bacco (Dio dell’agricoltura e del vino) e Venere (Dea dell’amore e della bellezza). Non troppo lontano dalla città, sulla cima di una collina, fu installato un piccolo tempio in onore del Dio Mercurio, divinità molto cara ai Romani.

Uno dei più grandi misteri del sito di Baalbek riguarda le fondamenta che servirono d’appoggio al monumento principale, il “Tempio di Giove”. Questo elegante e sofisticato tempio poggia infatti su un colossale terrazzamento di circa 465.000 metri quadri, costituito da tre mastodontici blocchi di pietra che misurano 5 metri di altezza, 20 metri di lunghezza, 3,6 di larghezza e dal peso superiore alle 800 tonnellate ciascuno. Risolto uno dei maggiori enigmi legati al colossale Tempio di Giove a Baalbek, in Libano, una delle architetture più complesse mai concepite sulla Terra. Si tratta di un tempio famoso in tutto il mondo per le sue dimensioni e la sua architettura megalitica ma numerosi misteri ancora lo avvolgono. Oggi però grazie ad uno studioso italiano, è stato risolto il mistero, uno dei più grandi legati all’antichissimo edificio, che riguarda la posa delle sue fondamenta e la datazione precisa delle fasi di costruzione.

I romani sicuramente eressero le 12 mastodontiche colonne nel 60 d.C. circa, ma chi posò le massicce pietre delle fondamenta? Giulio Magli, professore di

Archeoastronomia al Politecnico di Milano, nel suo studio pubblicato nel volume scientifico Archaeoastronomy in the Roman World data anche la fase megalitica agli architetti erodiani, risolvendo così l’enigma delle fondamenta megalitiche del Tempio. Magli giunge alle sue conclusioni grazie all’archeoastronomia. Nel suo studio, l’archeoastronomo del Politecnico di Milano rileva infatti come “il Tempio di Giove sia orientato verso il levare delle Pleiadi, un gruppo di stelle legato alla fertilità e al rinnovamento nel mondo greco-ellenistico: una scelta di orientamento che sarebbe insolita per un architetto romano”. Magli evidenzia che ci sono “chiare analogie architettoniche con le fondamenta erodiane del Monte del Tempio di Gerusalemme, visibili nel cosiddetto tunnel occidentale e formate da giganteschi blocchi di pietra molto simili a quelli della parte intermedia di Baalbek”. “Erode il Grande è una figura storica alquanto controversa. Tuttavia, la sua fama di grande costruttore è indiscussa e sembra proprio che sia possibile attribuire un altro capolavoro – oltre al Monte del Tempio, Masada e Herodion – alla lista delle sue realizzazioni architettoniche” evidenzia l’archeoastronomo.Lo studioso del Politecnico di Milano spiega che l’edifiicio del Tempio di Giove a Baalbek “consiste in un enorme basamento circondato da un muro ancora più enorme. La progettazione di tale muro è impressionante: esso consiste nella sovrapposizione di blocchi di pietra sempre più grandi man mano che si sale. Giganteschi megaliti (di circa 500 tonnellate ciascuno) sostengono la parte superiore, costituita da blocchi ancora più incredibili (circa 4x4x20 metri e 1000 tonnellate). Altri enormi blocchi di pietra sono stati inoltre rinvenuti in una cava a poche centinaia di metri a sud-est”.Il Politecnico di Milano ricorda che alcuni anni fa Andreas J. M. Kropp e Daniel Lohmann ipotizzarono che il basamento interno fosse stato inizialmente concepito e parzialmente costruito da Erode il Grande nel 15 a.C. circa. L’area, “non era sotto il diretto controllo di Erode, ma quest’ultimo era un amico dei romani che fondarono la colonia Berytus (Beirut) proprio in quegli anni”, tuttavia, Kropp e Lohmann “non sciolsero il mistero” delle fondamenta megalitiche del Tempio. Un enigma, annuncia il PoliMi, risolto adesso dall’italiano Giulio Magli.

Piano Novembre 22 01

Beiteddine, “L’architettura italiana in Libano”

Beiteddine, ossia “Casa della fede”, è una città del Libano, di circa 2.500 abitanti, capoluogo del distretto dello Shuf, si trova in una zona collinare a 50 Km da Beirut.

Esempio tipico dell’architettura libanese dell’inizio dell’Ottocento, il palazzo di Beiteddine fu costruito per iniziativa dell’Emiro Bechir II Chebab che si servì di architetti italiani e di artigiani siriani. Bechir lo utilizzò come sua residenza e sede del governo fino all’esilio forzato nel 1840 quando l’Emirato fu soppresso dagli Ottomani. Le autorità turche ne fecero la residenza del governatore della regione. Fu poi utilizzato dai francesi dopo la prima guerra mondiale a fini amministrativi. Dopo i necessari restauri, con l’indipendenza del Libano nel 1943, il palazzo diventò residenza estiva del Presidente della Repubblica. A questo ruolo di prestigio si è aggiunta la creazione di un Museo Il risultato è che oggi Beiteddine costituisce una delle principali attrazioni turistiche del Libano. Il palazzo è organizzato intorno a tre diversi cortili. L’ampio cortile esterno (midan), era destinato agli incontri pubblici e agli eventi (cerimonie, feste, spettacoli, gare). Lo affiancano gli appartamenti destinati agli ospiti. Sul fondo del cortile c’è una doppia scalinata che sale all’ingresso del cortile centrale. Questa scala è detta ‘del capitombolo’ perché, secondo la tradizione, una pecora in fuga dalle cucine, sfuggita al coltello del macellaio, con una testata fece cadere sulla rampa un eminente pasciа.

Lasciato l’austero cortile esterno si entra ora nel cortile centrale, ricco dell’acqua delle fontane e circondato da incantevoli architetture. Il cortile si apre sul panorama della valle e sul giardino alberato. Ai lati sono le sedi degli uffici del ministro dell’emiro e della burocrazia di corte. Sul fondo del cortile campeggiano la facciata e la porta monumentale degli appartamenti privati dell’emiro. Sul cortile si affacciano curiosi balconi di legno con i vetri schermati (chiamati comandaloune) che consentivano agli abitanti di osservare gli arrivi senza essere visti. L’accesso all’appartamento privato e all’harem di famiglia è segnalato dai rilievi di un volto stilizzato e due mani che coprono gli occhi: si tratta di un richiamo alla privacy e di un invito alla discrezione. La porta monumentale d’ingresso, con i suoi intarsi di marmo colorato, è bellissima.

L’insieme è considerato una delle piщ belle opere dell’arte orientale ed è valso a Beiteddine il soprannome di ‘Alhambra del Libano’. I soffitti sono di legno di cedro scolpito e dipinto, impreziosito con motivi calligrafici arabi. Con una guida è possibile proseguire la visita nel terzo cortile e negli appartamenti interni. Il Museo è stato ricavato nelle ampie scuderie del palazzo (l’emiro aveva a disposizione seicento cavalieri con i relativi cavalli). Vi sono esposti i mosaici risalenti al quinto e al sesto secolo che provengono dal sito archeologico di Jiyeh, l’antica Porphyrion. I motivi geometrici si alternano alla raffigurazione degli animali (leoni, leopardi, gazzelle, bufali) e alle scene di tema religioso. Altri mosaici coevi e di provenienza diversa sono esposti nei giardini.

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Beirut, la “Parigi del Medio Oriente”

Città capitale del Libano Giace sulla costa levantina, su un promontorio con il quale termina un contrafforte del monte Libano; la città lo riveste in buona parte con i quartieri antichi sul versante settentrionale, dove si trovano il porto e la stazione ferroviaria e con quelli moderni.

Adagiata sugli scogli al centro della costa orientale del Mediterraneo, Beirut è una città viva, multiculturale, attraente e tutta da scoprire.
Considerata a lungo la “Parigi del Medio Oriente”, Beirut è una città fatta di contrasti, ma che si distingue per la sua vivacità culturale e la sua atmosfera, in equilibrio perenne tra la mondanità festosa e la severità tipica delle città che ne hanno viste tante.

Stretto tra la sempiterna questione israelo-palestinese e il recente conflitto siriano, il Libano si trova oggi nell’incertezza del futuro che lo attende. Ma è forse anche per questo che la sua capitale, Beirut, sembra vivere pensando solamente al presente, tra lo scintillare dei suoi palazzi ultramoderni ispirati all’occidente e le rovine della guerra civile durata dal 1975 al 1990, in un affascinante quanto ubiquo contrasto che si ripropone di continuo.

Per alcuni non sarà più la “Parigi del Medio Oriente”, come veniva chiamata negli anni ’60 per la sua ricchezza e la vita mondana, ma oggi Beirut è viva, multiculturale, attraente e tutta da vivere.
Ricostruito completamente negli anni ’90, il centro di Beirut, o Downtown, è perfetto per iniziare una visita della città passeggiando mentre si lascia lo sguardo libero di vagare tra una curiosità e l’altra. Il quartiere si sviluppa attorno a Nejmeh Square (o Place de l’Etoile), al centro della quale si staglia la torre dell’orologio: uno dei simboli della città, in cui il segnatempo non è uno qualsiasi, bensì un Rolex.

A sorvegliarlo metaforicamente ci sono il Palazzo del Parlamento e la Chiesa ortodossa di San Giorgio, alla sicurezza reale ci pensano invece i militari posizionati a tutti i punti d’accesso della piazza.
Nel giro di poche centinaia di metri si concentrano almeno altre due chiese e tre moschee, ma questo è esattamente il genere di mescolanza culturale che si respira ovunque a Beirut.

Ancora pochi passi e si giunge al Gran Serraglio, imponente palazzo governativo di fine XIX secolo, mentre nella direzione opposta si trova la magnifica Moschea Mohammad Al-Amin, con le sue cupole azzurre (ispirate alla Moschea Blu di Istanbul) e i quattro minareti che si stagliano verso il cielo. Questi dominano l’orizzonte anche dalla vicina Martyrs Square, con l’omonima statua intitolata ai martiri, su cui sono stati volutamente lasciati dei fori di proiettile a rafforzarne l’impatto catartico.
Al termine del canonico giro in centro, tra monumenti e luoghi di culto, perché non continuare la camminata in un contesto più leggero come quello della

Corniche, il lungomare di Beirut? Qui la gente non manca mai, e i più instancabili possono aggirare praticamente l’intera città accompagnati dal rumore delle onde sulla destra, fino agli iconici Pigeon Rocks (scogli del piccione), all’estremità occidentale della città.

Il melting pot di Beirut non si traduce solo in chiese e moschee a ogni angolo, ma in una sovrabbondanza di offerta artistica e culturale, tale da rendere impossibile riassumerla compiutamente in poche righe.
Tra i musei, gli imperdibili sono il Museo Nazionale (con oltre 1.300 artefatti, dalla preistoria al medioevo, passando per i fenici) e il Museo Sursock, dedicato all’arte contemporanea e ospitato in un palazzo che vale da solo la visita.

Il fascino di questa città, però, è che l’arte è spesso all’aria aperta, come nei quartieri di Gemmayzeh e Mar Mickhael, dove tra un bar un po’ rétro e un negozio di artigianato, attaccano scalinate splendidamente decorate con colori vivaci (su tutte quella di San Nicolas e quelle nella zona di Armenia Street), oppure dove può capitare di ritrovarsi di fronte a dipinti murali di street artist grandi come intere facciate, inaspettati quanto stupendi. Beirut è così: ovunque si vada, sa sempre come stupire.

Alla fervente vita culturale fa da contraltare quella mondana, altrettanto vibrante. I quartieri cristiani di Gemmayzeh, Mar Mickhael e Achrafieh ne sono il fulcro assoluto: ristoranti, pub e locali notturni abbondano e sono tutti in grado di offrire una serata piacevole.
Più chiassoso e disordinato, seppur non meno interessante, anche il quartiere di Hamra offre diversi modi per svagarsi la sera, compresi locali con musica dal vivo.
Chi apprezza i sapori mediorientali adorerà anche la cucina libanese, in cui l’influenza della tradizione araba si avverte specialmente nella predilezione per la carne d’agnello e per l’abbondante presenza di frutta secca. Ma il pregio principale della tradizione culinaria locale sta nella varietà dei piatti, specialmente per i vegetariani.
Tra i piatti tipici va certamente segnalato il meze, una selezione di antipasti in cui non mancano mai hummus (una purea di ceci), baba gannouj (talvolta chiamato caviale di melanzane) e falafel (polpette di legumi speziate). Altro alfiere della cucina locale è il tabbouleh, una fresca insalata di burghul (grano spezzato), pomodori ed erbe aromatiche, condita con olio e limone: l’ideale per rinfrescarsi dopo una lunga passeggiata sulla Corniche. Ben più sostanzioso il kibbeh, piatto nazionale a base di agnello e burghul compattati in piccole palline. Per un pasto veloce, una manāqīsh è l’ideale: una sorta di risposta libanese alla pizza, in cui la pasta di pane viene speziata e farcita con carne o formaggio.

Nella zona a nord di Downtown, verso il mare, c’è il principale souq di Beirut. Tende e bancarelle fatiscenti dove contrattare con venditori venuti da lontano compongono l’immagine stereotipata che viene quasi istantaneamente proiettata

nella mente, ma a Beirut non potrebbe essere più distante dalla realtà. Qui il souq è un vero e proprio centro commerciale all’occidentale, ma è l’intera zona a essere votata al commercio, con bar all’aperto e negozi (compresi quelli dei più celebri marchi occidentali) che scandiscono il ritmo di un quartiere pulito, elegante e palesemente di recente costruzione, caratterizzato dall’architettura d’incontro tra gli stili arabo ed europeo.